Commerce, gaming e regolamentazione: i trend social per il 2021

Il nuovo anno promette di portare tantissime novità al mondo social, ne abbiamo selezionate alcune che potrebbero impattare sulle principali piattaforme e sui consumatori
Commerce, gaming e regolamentazione: sono questi a nostro avviso i trend social del 2021. Non è un caso, infatti, che proprio quest’anno tutte le principali piattaforme dovrebbero implementare funzionalità ecommerce più o meno evolute. E non lo è nemmeno il fenomeno Twitch o Facebook Gaming, acuito dalla pandemia, ma destinato a impattare profondamente sulle abitudini degli utenti, organizzati sempre più spesso in communities verticali costruite attorno al gaming. Infine, i fatti di Capitol Hill e l’atteggiamento di fermezza delle autorità europee che dovrebbe concretizzarsi in nuove leggi, lasciano intendere che i fari delle istituzioni saranno puntati sull’argomento regolatorio con conseguenze reali sulle modalità operative delle piattaforme.

Social Commerce 

È evidente che la fisionomia dei social sia evoluta rispetto a circa quindici anni fa, cioè quando i primi servizi come Facebook e Twitter facevano il loro debutto sul mercato. Non sorprende, vista anche la capacità di adattamento e di guidare l’innovazione da parte di questi attori, che oggi quel mondo ci appaia quasi arcaico.
L’attenzione, all’alba del 2021, è tutta sul social commerce, tanto che secondo l’esperto Vincenzo Cosenza le piattaforme si sarebbero trasformate da “piazze a centri commerciali”, da luoghi di discussione virtuale a “mall chiusi”. Tra gli attori più attrezzati c’è sicuramente Facebook, che renderà il checkout diretto un’opzione aperta a tutti entro l’anno, mentre Instagram (sempre di proprietà di Facebook) e Pinterest sono sicuramente le piattaforme che per natura possono valorizzare al meglio il social commerce, proponendosi come one-stop-shop capaci di restituire un’esperienza simile a quella offerta da Amazon.
A guidare la tendenza è sicuramente l’attuale scenario mondiale, che a causa del Covid-19 ha registrato una netta accelerazione dell’ecommerce, avvantaggiando le grandi piattaforme social che hanno un’audience molto ampia e una potenza di fuoco unica. A fare la differenza sono gli influencer, spiega un articolo di SmartInsights, che basano il rapporto con i follower su valori come credibilità e fiducia e sono in grado di coprire l’intero customer journey, dal pre-lancio fino alla vendita.
Insomma, dopo anni di progressi più o meno costanti, nel 2021 tutte le principali piattaforme social presenteranno almeno una funzionalità ecommerce. Ci attendiamo nuovi annunci in questo senso e come accade spesso quando si parla del tema del commercio elettronico, la strada da seguire è la Cina, dove gli operatori social e attivi nella messaggistica già permettono di effettuare diverse operazioni d’acquisto al loro interno.
E se ci fossero ancora dubbi ecco alcuni dati: stando a un forecast rilasciato a settembre da ResearchAndMarkets.com il social commerce passerà dagli 89 miliardi di dollari del 2020 ai 604 miliardi del 2027 con un tasso medio di crescita annuo 2020-2027 di oltre il 30%. Ecco perché il social commerce non può più essere rimandato, anche se ancora una volta l’Europa si trova a rincorrere: il CAGR della Germania sarà di poco superiore al 22%, ben sotto la media globale.

Social Gaming

Nella sua newsletter di domenica 24 gennaio DataMediaHub ci ricorda che i confini tra social e gaming sono sempre più labili. E, citando alcuni dati Comscore rielaborati da Warc, indica in 24,8 milioni l’audience mensile del gaming online in Italia, il 63% del totale della popolazione internet, il valore più basso nel confronto con Germania, Francia, Uk e persino la Spagna, che in assoluto però rimane ancora indietro di qualche centinaio di migliaia di utenti rispetto al BelPaese.
“Non a caso le piattaforme social ‘tradizionali’ si stanno lanciando sul fenomeno, con Twitch che ha registrato 17 miliardi di ore di visualizzazioni nel 2020, in crescita dell’83% su base annua. Facebook Gaming che ha avuto 3.9 miliardi, in crescita del 166%. E YouTube che ha registrato 100 miliardi di ore di visualizzazione tra live e VOD”, si legge sulla newsletter di DataMediaHub. 
Un fenomeno accelerato dalla pandemia che vede da una parte i social offrire esperienze sempre più evolute di gaming e dall’altra il mondo del gaming travestirsi in social, fornendo agli utenti ampie opportunità di interazione. Tanto che gli spazi di gioco sono diventati veri e propri punti di raccolta in cui socializzare e vivere eventi dal vivo, precisa DataMediaHub in una riflessione separata sul tema.
Il social gaming è naturalmente legato allo streaming, al live e alla fruizione passiva e per questo piattaforme come Twitch stanno facendo fortuna, tanto nel mondo quanto in Italia. Insomma ci piace giocare, ma ne possiamo fare a meno per guardare gli altri che lo fanno. Un altro nome, sicuramente meno noto ma altrettanto rilevante è Discord: lanciata nel 2015 come luogo per supportare la community di gamers, oggi la piattaforma si presenta come “il luogo ideale dove parlare e ritrovarsi” ambendo anche ad altri gruppi sociali.
In sintesi, nel 2027 il social gaming supererà la soglia dei 25 miliardi di dollari e al pari di altri trend digitali è destinato a consolidarsi con tassi di crescita che riflettono sempre più il nuovo mondo in cui viviamo.

Social Regulation

Il tema della regolamentazione delle piattaforme social si è fatto più pressante negli ultimi anni, anche in virtù di un approccio risoluto in Europa. Nel vecchio continente la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, riconfermata in questo ruolo anche dalla presidenza Von Der Leyen, ha alzato l’asticella nello scontro contro i giganti hi tech facendo leva principalmente su argomenti come privacy, concorrenza, uso improprio di dati, freno all’innovazione e tassazione. Il risultato è la proposta di due nuove leggi che potrebbero vedere l’approvazione in parlamento nel giro di un paio d’anni.
Il Digital Services Act riguarda la responsabilità in materia di contenuti dei giganti del web, a cui vengono richiesti migliori meccanismi di controllo e maggiore protezione degli utenti. I contenuti illegali dovranno essere rimossi in collaborazione con le autorità nazionali e chi non lo farà rischia di incorrere in una multa fino al 6% del fatturato. Il Digital Markets Act ha invece a che fare con i mercati e la loro regolamentazione: in questo caso la commissione vuole limitare il ruolo dei gatekeeper, cioè piattaforme talmente dominanti da impedire l’accesso a nuove aziende sul mercato. Anche questa legge prevede nuovi obblighi, come ad esempio la condivisione di alcuni dati con altre aziende, a cui i colossi della rete dovranno conformarsi se non vorranno incorrere a sanzioni fino al 10% del loro fatturato. E c’è di più: dopo tre multe in cinque anni, l’antitrust potrà procedere allo scorporo o alla separazione di parti di attività delle multinazionali. Una mossa di una durezza significativa, anche se è un’ipotesi di difficile realizzazione per tutte le problematiche che pone, come sottolineato dalla professoressa dell’Università Bocconi Nicoletta Corrocher al Corriere della Sera.
Guardando oltreoceano, i colossi del web stanno facendo tentennare il dogma statunitense della self regulation. È chiaro che l’approccio americano sia differente a quello europeo, ma il tema delle elezioni e i fatti di Capitol Hill hanno riacceso il dibattito, specialmente sulla responsabilità sui contenuti. Un articolo di Harvard Business Review delinea le differenze tra social media e mezzi tradizionali, inquadrando le difficoltà nel regolamentare le piattaforme online e concludendo che nonostante tutti gli interrogativi odierni, una cosa è sicura: il ban di Trump ha segnato un punto di non ritorno e lo status quo non potrà più persistere a lungo.

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Fonti dall’articolo per approfondire:

Social commerce

  1. Social Commerce Trends
  2. Vincos
  3. ResearchAndMarkets.com

Social Gaming

  1. DataMediaHub NL
  2. DataMediaHub Digitalmente
  3. Social Gaming Trends
  4. Social Gaming Industry

Social Regulation

  1. EU Commission
  2. Corriere.it
  3. USA: Harvard Business Review