Lo scenario televisivo europeo cambia

Gli OTT sempre più protagonisti.

È uno scacchiere profondamente ridisegnato quello dei network televisivi in Europa dopo il risiko di acquisizioni, guerre e alleanze andato in scena negli ultimi anni. La pandemia ha spinto i grandi gruppi televisivi nazionali e commerciali a migrare verso modelli on-demand obbligandoli a studiare nuove formule in cui il digitale dovrebbe essere la parola d’ordine, una situazione resa se possibile ancor più complessa dall’impatto riscontrato sulla raccolta pubblicitaria: nei primi undici mesi del 2020, infatti, secondo Nielsen la pubblicità in tv è calata di oltre l’11% in Italia. Contemporaneamente gli Over the Top continuano a guadagnare quote di mercato accedendo a nuove fasce di consumatori e geografie, grazie a una capacità produttiva e d’investimento senza eguali.

E, così, dopo il suo sbarco nel vecchio continente avvenuto nel 2012, Netflix è oggi il secondo network tv in Europa per ricavi con una quota del 6,1%. Il gigante americano ha scavalcato la tedesca ARD (5,7%), scivolata al terzo posto, mentre il primato spetta alla statunitense Comcast (12%), che ha rilevato Sky e ne gestisce le operazioni in Europa, Italia compresa. BBC (4,2%) conquista la quarta piazza, mentre Mediaset è undicesima (2,3%), appena davanti alla Rai (2,1%) e ad Amazon Prime Video (2%). È quanto rivela uno studio pubblicato nei giorni scorsi da Ampere Analysis.

la società di ricerca, a giocare a favore di Netflix è soprattutto la capacità di poter proporre un mix di produzioni locali e internazionali, spesso originali, che nessun altro possiede attualmente, nemmeno Prime Video. Un budget marketing sicuramente più ampio rappresenta poi un ulteriore supporto per indirizzare al pubblico tutti questi contenuti, spesso molto diversi e rivolti a target distinti. Nell’ambito della sua indagine, Ampere ha incluso i proventi pubblicitari, i ricavi da abbonamento (tv e on demand) e i finanziamenti pubblici.

Lo sport può sparigliare le carte in tavola?

Un’area potenzialmente rivoluzionaria per il futuro degli abbonamenti degli Over The Top e capace di ridisegnare gli equilibri fotografati da Ampere è lo sport, che come noto stuzzica e non poco gli investitori pubblicitari e può spostare un numero notevole di sottoscrizioni lato consumatori. Se Netflix è stata più reticente sposando solo produzioni e consolidando il suo posizionamento di leader nell’entertainment, Amazon ha optato per una strategia più aggressiva: dapprima negli Stati Uniti dove ha trasmesso alcuni match della NFL (la massima competizione di football americano), poi in Gran Bretagna, dove sempre attraverso Prime Video si è assicurata una quota della copertura della Premier League.

Ora Amazon è pronto a diventare uno dei riferimenti del calcio anche in Italia, entrando direttamente dalla porta principale: a partire dalla prossima stagione al via a settembre il colosso sarà titolare nel nostro Paese dei diritti di alcune partite della Champions League, la competizione più lucrosa al mondo per i club. E stando ad alcune recenti indiscrezioni di Bloomberg il piatto potrebbe essere ancora più ricco: la società sarebbe, infatti, in gara con DAZN e Sky per i pacchetti digitali dei diritti della Serie A relativi al prossimo triennio (2021-2024). Se ne saprà di più nei prossimi giorni, con la scadenza ufficiale per la presentazione delle offerte fissata a martedì 26 gennaio.
Al di là di queste previsioni è interessante osservare come Prime Video potrebbe avere un asso nella manica da giocarsi: il servizio viene offerto a un costo di 36 euro annuali o 3,99 euro al mese in Italia, garantendo una serie di vantaggi anche sul fronte dell’ecommerce e della logistica. Un prezzo inferiore a quello di Netflix e che assicura già l’accesso a un ventaglio in ampliamento di film e serie tv. Con l’aggiunta della Champions League e ipoteticamente della Serie A, è lecito attendersi che in molti possano abbonarsi ad Amazon Prime. Il che, come scritto da alcuni giornali, avrebbe quale logica conseguenza una crescita dei costi, come già accade negli Stati Uniti, dove il servizio viene proposto a 120 dollari all’anno, o in Gran Bretagna (79 sterline). Sebbene sia prevedibile un aumento del prezzo anche da noi, Amazon potrebbe comunque rafforzare l’offerta sul mercato televisivo italiano, approcciando nuove quote di mercato.

Ott: la fruizione di Netflix e Amazon in Italia

Una bussola utile per orientarsi nel mondo degli OTT e di come stiano modificando le abitudini degli italiani giunge dai dati di SimilarWeb, società di Digital Market Intelligence che offre informazioni e grafiche in tempo reale sul traffico web. I risultati restituiti dalla piattaforma per certi versi si discostano però da quelli rilevati sul piano internazionale.

Se prendiamo in esame il traffico Desktop e Mobile, escludendo quindi la fruizione via app e smart tv, notiamo che è Netflix il campione con una media di oltre 41,5 milioni di visite mensili nell’arco di tutto il 2020, davanti a Prime Video, che supera i 17 milioni. Fin qui nulla di particolarmente strano nel confronto globale, che vede Netflix saldamente in vantaggio. Le curiosità emergono però analizzando informazioni come i visitatori unici mensili o l’audience deduplicata, che in Italia mostrano valori simili per entrambe le piattaforme. Non è così però a livello internazionale, dove Netflix ha uno scarto ben maggiore rispetto al rivale e secondo il bilancio ufficiale dell’azienda rilasciato nei giorni scorsi gli abbonati sarebbero ormai 200 milioni.

Fonte SimilarWeb, Gen-Dic ’20

Come si può spiegare questa differenza? In Italia Netflix mantiene la capacità di produrre un numero maggiore di visite, una maggiore durata delle stesse e un bounce rate inferiore. Eppure, nel belpaese Prime Video vanta un audience deduplicata leggermente più sviluppata: decisivi potrebbero essere l’attrattività del prezzo del servizio e la sua associazione ad altri benefit. Infine, l’audience dei due servizi corrisponde da un punto di vista demografico: prevalgono gli uomini under 35. Più indietro Disney+, sbarcato nel nostro a Paese a marzo e in una fase di stabilizzazione dopo il boom delle festività natalizie.

Credits Immagine by Unsplash – Alexander Shatov.